ROKH TIPS - Patto di non concorrenza dell’imprenditore e divieto di storno
Una delle clausole che riveste notevole importanza in un contratto tra datore e prestatore di lavoro è certamente quella riguardante le obbligazioni di non concorrenza. Tali obbligazioni sono spesso presenti anche nei contratti stipulati con lavoratori autonomi, proprio perché la complessa e variegata realtà commerciale odierna ne rende necessaria la previsione a tutela dell’impresa e dell’imprenditore stesso.
Ai sensi dell’articolo 2596 del Codice Civile, tale patto deve essere provato per iscritto e sarà valido se circoscritto a una zona o attività determinata e deve essere necessariamente circoscritto nel tempo. Infatti, la sua durata sarà al massimo di cinque anni, nel caso di dirigenti, e tre anni in tutti gli altri casi. Può consistere in una clausola contrattuale, ma anche una scrittura a sé, sottoscritta anche successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro.
E’ possibile prevedere anche un eventuale corrispettivo per la non concorrenza. La giurisprudenza attorno a tale pattuizione ne ha individuato precise caratteristiche: tale corrispettivo deve essere definito in misura congrua, in relazione condizioni imposte al lavoratore in costanza di contratto e tenere in considerazione gli stessi limiti derivanti dal patto. Di frequente è possibile avere delle precise clausole di rivalutazione nel caso in cui lo stesso diventi incongruo.
Bisogna fare attenzione, come ribadito dalla recente giurisprudenza della Suprema Corte (cfr. Cassaz., Sez. Lavoro, 4 agosto 2021, n. 22247), a non confondere quanto previsto dal patto di non concorrenza con un divieto di storno della clientela. La sentenza citata ha infatti chiarito come per il divieto di storno non sia in alcun caso applicabile la disciplina della non concorrenza prevista dall’articolo 2125 Codice Civile per il prestatore di lavoro ribadendo essenzialmente che il patto di non concorrenza:“[…]proibisce lo svolgimento di attività lavorativa in concorrenza con la società datrice, anche al termine del rapporto di lavoro[…]”, e il divieto di storno, seppur affine, invece:”[…]impedisce il compimento di atti e comportamenti funzionali a sviare la clientela storica verso un’ altra impresa datrice, sfruttando il rapporto di fiducia instaurato e consolidato durante il periodo di dipendenza con la prima società[…]”.